Lo scorso dicembre mia moglie preparò un pudding al cioccolato che era un po’ come il libro di sabbia di Borges: tra una fetta e l’altra c’è sempre una terza fetta, non si arriva mai all’unità fettuale minima. Dal punto di vista matematico, le fette sono dense nel cilindro ciocco-latteo che le contiene, e dal punto di vista fisico il dolce ha densità infinita. Ma la misura è assai limitata: quando l’ho visto uscire (dalla pentola – non dal forno – ulp) mi sono detto: me lo sbafo tutto in un boccone.
Poi purtroppo mi hanno buttato fuori casa prima che potessi dar fondo alle fauci, in modo da poter scattare delle foto (non commestibili e quindi inutili). Al mio rientro, ne era stato mangiato un quarto, e gli astanti si trovavano in stato di coma cacao-favico… dicevano che erano pieni di cioccolato fino al gargarozzo. Ho pensato: “puah!, che mammalucchi”… E ho preso una fettonzola, che corrispondeva a un millesimo delle mie voglie cacaiche: dopo, con mia massima sorpresa, mi son detto, beh, sì, mi ci sta forse un’altra fetta. Ne ho preso un’altra (più fine), dopodiché in effetti ho cominciato a capire che avevo davanti a me un miracolo di sinergie molecolari.
Il secondo e il terzo giorno abbiamo intaccato appena un ulteriore terzo del microcilindro accioccolattato. Le fette si facevano sempre più fini, ci riempivano come non mai, ci soddisfacevano al massimo, ci fibrillavano di ciocchendorfine, eppure un bel terzo abbondante (non sono forte in aritmetica) restava sempre lì, a ridacchiare di noi babbei.
Alla fine quello che restava è stato regalato. Stamattina mi manca la dose, dovrò ripiegare sui miei cereali al cioccolato, che hanno la proprietà inversa: finiscono subito. Prevedo che il terzo restante verrà azzannato dalle fauci dei nuovi proprietari, che ne intaccheranno circa la metà, e poi lo regaleranno a loro volta, e così via in una ridda zenonica in cui il coltello non raggiungerà mai la fine del pudding.
E questo è uno dei motivi per cui i pudding inglesi vengono deplorati dalla maggior parte di quei bizzarri isolani: se fosse stato non al ciocciolato fondente, bensì al sapore di mattonella e uvette di plastica, come sono quelli inglesi, l’avremmo solo potuto usare da mettere al collo di un manichino pseudo-voodoo per annegarlo, quasi come in quella storia d’orrore di Guy de Maupassant.
Uso consigliato: soluzione del problema della fame nel mondo.
Uso alternativo: creazione di un buco nero portatile ad usum studiorum per i fisici delle alte energie.